LA FABBRICA DEL CONSENSO

La fabbrica del consensoIl postulato democratico è che i media sono indipendenti e che hanno il compito di scoprire e di riferire la verità, non già di presentare il mondo come i potenti desiderano che venga percepito”, così sostengono, Noam Chomsky ed Edward Herman nella prefazione del libro “La fabbrica del consenso” da loro scritto nel 1998. Ovvero oltre dieci anni or sono, in tempi, quindi non sospetti di anti-berlusconismo.

E’ di tutta evidente lettura, quindi, che, nel caso contrario, ovvero quando “i potenti sono in grado di fissare le premesse del discorso, di decidere che cosa la popolazione in generale deve poter vedere, sentire e meditare, e di dirigere l’opinione pubblica mediante regolari campagne di propaganda, il modello tipico di come il sistema deve funzionare è in netto contrasto con la realtà”.

In quest’ultimo caso i mass-media “servono a mobilitare l’appoggio della gente agli interessi particolari che dominano lo Stato e l’attività privata”. La propaganda, quindi, diventa, essa stessa “uno strumento di governo della popolazione”.

Quella che gli autori descrivono, in sostanza, è “un sistema di mercato guidato, la cui guida è fornita dal governo, dai leader del mondo produttivo, dai proprietari e dai dirigenti dei media più importanti”, dove “le scelte più partigiane derivano dalla preselezione delle persone a cui attribuire la visione corretta delle cose”, dove “la censura funziona per lo più come autocensura”, dove vengono fatti “trapelare alcuni scomodi, ma con parsimonia … nelle pagine interne … e sempre un quadro di assunti appropriati ed escludendo virtualmente dai media qualsiasi dissenso radicale (consentito solo a una stampa marginalizzata) …” solo al fine di far apparire il sistema “molto più credibile ed efficace di un sistema con censura ufficiale”.

La fabbrica del consensoLa fabbrica del consenso sostiene la presenza di “uno schema ricorrente e facilmente visibile, fatto di campagne di indignazione e di autocensure, di enfatizzazioni e di sottovalutazioni, nonché di selezione del contesto, delle premesse e dei temi da trattare”, uno schema “estremamente funzionale al potere costituito, ai bisogni del governo e ai desideri dei principali gruppi di potere”.

La teoria Chomsky e Herman è interessante e – secondo la nostra lettura – assolutamente condivisibile e riconoscibile nell’attuale situazione italiana. E, naturalmente, non ci riferiamo solo ai media di proprietà riconosciuta diretta o indiretta del Presidente del Consiglio. Perché lo “schema” dell’informazione sin qui descritto si trova anche nei media che vanno per la maggiore sia regionali e sia locali.

Il problema per l’esistenza di una informazione indipendente è dato dalle “profonde diseguaglianze nella disponibilità delle risorse economiche e il peso di tali diseguaglianze in termini di accesso al sistema privato dei media”. Conseguentemente, “denaro e potere possono filtrare le notizie da diffondere, filtrare le notizie da diffondere, marginalizzare il dissenso e consentire al governo e agli interessi privati dominanti di far pervenire al pubblico i propri messaggi”.

Ma dietro questo, il vero problema si concretizza a causa di quegli “operatori del settore” (giornalisti) che “molto spesso agiscono con assoluta onestà e in perfetta buona fede, convinti di scegliere e di interpretare le notizie in modo oggettivo e nel rispetto dei valori professionali”: “all’interno dei vincoli loro imposti (linea editoriale, contraddittorio solo rispetto alle posizioni dei dissenzienti, non espressione di proprie opinione ma esclusivamente delle posizioni-veline dei maggiori rappresentanti istituzionali, NdR), essi spesso sono obiettivi”.

Tuttavia, questi “vincoli” sono così potenti che “l’esistenza di criteri alternativi di scelta di notizie appare pressoché inimmaginabile”.

Volendo dare una conclusione al ragionamento: oggi non ci troviamo, in Italia almeno, in una “democrazia” poiché manca un fondamento di questa, ovvero la presenza di un’informazione libera e completa che permetta ai cittadini di costruirsi idee e valutazioni proprie (e non indotte) tali da poter compiutamente giudicare gli atti e le posizioni di tutte le parti politiche .

Se il problema è – a noi – riconosciuto occorre ora dibattere delle soluzioni.

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