RIAPRIAMO SAN NICOLA

Sulla recente decisione presa dal Vescovo di Trapani di chiudere la Chiesa di S. Nicola, in pieno centro storico, per trasformarla in Museo Diocesano, abbiamo sentito il parere di uno storico trapanese e profondo conoscitore delle storia della Chiesa trapanese: il Professore Salvatore Corso. “La decisione di accorpare la Parrocchia ad una limitrofa nasce essenzialmente da esigenze di spopolamento del centro storico, a cui un segnale di inversione può apparire la riscoperta della via Garibaldi, ora splendida isola pedonale.

n questo contesto può apparire affrettata la soppressione della parrocchia. Tuttavia è decisione prettamente ecclesiastica che dovrebbe mutare, anche per rispetto della memoria storica.”

Proprio perché questa destinazione investe più direttamente la comunità civile, al di là delle competenze ecclesiali, sembra inopportuna la decisione, alla luce delle testimonianze storiche.”

La chiesa tuttora dedicata a San Nicola, vanta un’origine molto più antica del titolo ricevuto agli inizi dell’epoca aragonese, quando all’intero complesso ecclesiale fu estesa la denominazione di una cappella di San Nicola edificatavi dai Chiaramonte. La chiesa primitiva era una di quelle edificate, in tempo imprecisato, durante la dominazione bizantina. Una prova sarebbe il titolo arcaico Ascensione che deriva dalla tradizione bizantina, non da quella romana. Tutto ciò rimanda alla fine dell’impero romano d’occidente ed alla conquista della Sicilia da parte di Belisario nel 535.“

Dovrebbe essere proprio il vescovo, allora, a tutelare la memoria della sede vescovile primitiva.

Di fatto la presenza bizantina a Trapani è sopravvissuta alla dominazione araba, quando la città marinara divenne piazzaforte dei saraceni e produsse anche funzionari e letterati di lingua araba. Era questo il clima di tolleranza religiosa, connotazione protrattasi per tutto il periodo normanno, prima delle impostazioni teocratiche, antiebraiche ed antimusulmane, abbracciate dalla dinastia sveva. Gli arabi non si erano spinti a cancellare le sopravvivenze bizantine. In parte neppure i normanni che convissero con una popolazione plurietnica e dettarono i loro diplomi anche in greco ed in arabo. Tranne ad accorpare Trapani con Mazara eretta a vescovado nel 1093.”

La sopravvivenza come Parrocchia o Chiesa officiata saltuariamente rimarrebbe segno della memoria bizantina.

Il vecchio campanilismo conservò fino a tempo fa il ricordo della distinzione tra cristiani greci e latini: i trapanesi indicavano anche nelle cartografie ‘u Munti, vantando una dipendenza, Monte di Trapani e gli ericini li ingiuriavano chiamandoli grecaglia. Ora siamo insensibili alla distruzione della memoria. A me sembra, tuttavia, che non si possano ripetere errori urbanistici e religiosi insieme, come avvenne per la distruzione completa di due chiese monumentali ed emblematiche: la chiesa San Giuliano martire cartaginese del III secolo, a seguito di trasformazioni rimasta intitolata Santa Maria della Nuova Luce, che dava denominazione al quartiere fino al XVIII secolo; la chiesa San Michele, prima cappella del consolato di Francia, poi provvisoria abitazione dei gesuiti e contestualmente consacrata dalla presenza dei gruppi sacri della Passione, opera di esperte ed infaticabili maestranze (misteri nella parlata locale) da cui derivò il nome “I Misteri”. Due recenti distruzioni della memoria che non dovrebbero consentirne altre.

E il Museo Diocesano?

Ben venga il Museo Diocesano, necessario e adatto a conservare tanti reperti sparsi e finora irrilevanti per la fruizione pubblica. Non mancano altri spazi, ugualmente ampi, dove sono depositati altri capolavori d’arte. Spazi meno legati alla memoria della città. Sia consentita sommessamente, invece, per il costituendo Museo, l’allocazione altrettanto prestigiosa e, tuttavia, meno distruttiva della memoria di Trapani bizantina: la chiesa, già chiusa da anni al culto, Santa Maria di Gesù.

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