TRAPANI, COPPOLE E COLLETTI BIANCHI

Matteo Messina Denaro

Della mafia se ne parla troppo poco. Ci ricordiamo di Cosa nostra solo agli anniversari delle morti di Falcone, Borsellino, Della Chiesa … che in realtà rappresentano delle sconfitte dello stato.

Ma non possiamo pretendere che i politici in fila a commemorare giudici, poliziotti, magistrati e persone normali sappiano cogliere queste sottigliezze.

Ma esiste anche una mafia ancora più inquietante: quella di cui non se ne parla proprio.
Lo zoccolo duro della mafia è nella provincia di Trapani, nei 4 mandamenti dove, nei giorni in cui lo stato sferrava l’attacco ai boss, Riina e soci si sentivano al sicuro.
Almeno questo è quanto afferma il pentito Nino Giuffrè.

Degli uomini di Alcamo, Mazzara, Trapani e Castellammare ci si può fidare, perchè “tengono ancora i cani alla catena”.
Cioè gli investigatori, i magistrati, gli uomini politici, sono tenuti a bada: con le buone e con le cattive.

Investigatori come con il commissario Nini Cassarà, trasferito per aver messo il naso in una bisca.
Alla squadra mobile di Palermo divenne uno dei più abili detective del pool, prima di essere ucciso nel 1985.
Come il commissario Rino Germanà, sfuggito ad un agguato il 14/09/1992, mentre stava indagando, tra le altre cose, sulla morte del giornalista Mauro Rostagno.
Come il sostituto procuratore Giangiacomo Ciaccio Montalto, che stava seguendo la pista dei soldi, i conti correnti riconducibili ai mafisi, con i quali si effettuava il riciclaggio del denaro che proveniva dalla droga. Fu ucciso il 25/01/1983, su ordine di Totò Riina.
O come il procuratore Carlo Palermo: stava indagando su un traffico di armi e droga che coinvolgeva la mafia con i servizi segreti (allora tutti iscritti alla P2). Il CSM lo mise sotto inchiesta, nelle sue indagini aveva pestato i piedi ai socialisti di Craxi.
Dopo la morte di Montalto, prese il suo posto alla procura di Trapani.
La storia della mafia trapanaese è stata raccontata da Carlo Lucarelli, attraverso 4 episodi:

  • l’attentato al commissario Germanà, il 14/9/1993, sul lungomare per Mazzara del Vallo

  • il suicidio di Rita Atria, lasciata sola nel suo appartamento a Roma, dopo la morte del giudice Borsellino, il 26/7/1992

  • l’attentato a Pizzolungo, contro il magistrato Carlo Palermo, dove morì Barbara Asta e i suoi bambini, il 2/4/1985

  • Infine dalla morte del vecchio boss dei trapanesi, nel 1998. Il latitante Francesco Messina Denaro, lasciato morto sul cancello di una villa a Trapani. Che lasciò il posto al figlio, l’erede della nuova mafia dicono. Matteo Messina Denaro.

La storia della mafia trapanese è legata a quella americana. Joe Bonanno, uno dei boss più potenti degli anni 50, veniva da lì.
È una mafia potente: a Trapani arrivavano i carichi di droga dal sudamerica e dall’Africa. In Sicilia occidentale esisteva una delle raffinerie più grandi d’Europa. E 6 banche regionali con svariate casse di risparmio per riciclare il denaro. Dopo il colpo di stato corleonese degli anni 80, con la relativa “pulizia etnica”, la provincia fu divisa in 4 mandamenti, con a capo

Matteo Messina Denaro, che divideva con i corleonesi rapporti paritari.

“La mafia? Io non l’ho mai vista. La mafia non esiste”, disse il sindaco di Trapani dopo la strage dove morirono, fatte a pezzi, Barbara Asta e i figli Salvatore e Giuseppe.“Perchè raccontiamo queste cose e le raccontiamo così? Per non dimenticare”.
L’unico momento di commozione che si è concesso Lucarelli nella tramissione. Per non dimenticare.
In che modo la mafia trapanese è riuscita ad entrare nella società civile, creando quella zona grigia che le fa da protezione?
Prima grazie al latifondo, quando molti uomini d’onore divennero campieri per conto dei possidenti terrieri.
Poi grazie alla massoneria, che li metteva in contatto direttamente con l’alta società: politici, uomini della finanza, uomini dei servizi. Nella loggia coperta “Iside 2”, figurava il boss Agate Mariano: fu costituita dopo la scoperta delle carte di Licio Gelli, in Toscana.
Il rapporto tra mafia, massoneria e servizi è stata la parte, se possibile, più inquietante: il pentito Antonino Giuffrè parlò dell’aeroporto di Castelluzzo, gestito dalla società Penguin.

A cosa serviva questo areoporto, in realtà una sede di Gladio (una delle ultime ad essere create)?
Ad infiltrare la mafia?
Ma l’ammiraglio Martini nega che quel centro sia stato usato per la mafia.
Altri poliziotti, o agenti dei servizi, sono legati ai misteri di Trapani: come l’agente (forse dei servizi) Antonino Agostino, ucciso nel 1989.

Come i due carabinieri, tra cui il brigadier Bertotto, che si scoprirono legati ad un deposito di munizioni nel trapanese, che poteva armare una polizia di un piccolo stato.
Poi si scopri che entrambi erano stati agenti dei servizi.

Infine c’è il caso Mauro Rostagno: fondatore di una comunità di recupero nel trapanese.
Una sera, all’aeroporto di Chinisia aveva filmato una strana scena. Un aereo militare che atterrava e altri militari che scaricavano casse di armi. Il VHS se lo portava sempre appresso e avrebbe dovuto rappresentare il suo scoop.
Che non vide mai la luce: fu ucciso il 26/09/1988.
Pista interna alla comunità? Pista legata all’omicidio Calabresi (Rostagno era ex Lotta Continua)?
Il commissario Germanà seguì la pista mafiosa.

Chi sono gli uomini della mafia trapanese?
Sono persone come Matteo Messina Denaro, considerato dagli uomini di casa nostra come un mito. Più un imprenditore che un esponente della vecchia mafia. Educato per diventare un boss (probabilmente è lui il personaggio di “Nelle mani giuste” di De Cataldo), nei pizzini a Bernardo Provenzano (che lo chiamava con lo pseudonimo di Alessio) scriveva “io mi rivedo in lei”.

A Castelvetrano furono decise le stragi del 92 del 93, contro Costanzo, Martelli e Falcone. Poi quelle contro Falcone furono portate avanti dagli uomini di Palermo (Brusca, Gioè, ..). Ma rimane il fatto che in quel periodo, i corleonesi nel trapanese si sentissero al sicuro.

Nelle immagini dell’arresto di Provenzano, da parte della squadra Duomo del vicequestore Cortese, si vede un “binnu” rilassato, tranquillo, che stringe le mani ai poliziotti che lo hanno catturato. Sa che il suo posto non sarà lasciato vacante.
Quelle immagini, di un boss anziano che sta andando in pensione, tranquillamente, rappresentano la vera sconfitta dello stato.

Potrebbero interessarti anche...