Amnesty: dibattito su condizioni detenuti al Leo Club

Amnesty al Leo Club

Amnesty al Leo Club

«Servono la conoscenza e poi la coscienza critica per poter giungere ad un cambiamento» ha riconosciuto Simona Sugamele, presidente del Leo Club di Trapani, rispondendo ad una mia domanda-provocazione nel corso della presentazione del libro “Il futuro sarà di tutta l’umanità” avvenuto quest’oggi presso la sede del club service.

E’ questa, a mio parere, la presa di coscienza più importante dell’incontro promosso dalla neonata sezione di Trapani di Amnesty International e che trattava il tema dei detenuti nelle carceri italiane.

Una risposta che ben s’aggancia alla presentazione dell’evento tenuta da Massimo Catania, presidente del Lions di Trapani: «questa manifestazione – mi ha detto – dimostra che i giovani non sono solamente dediti a stare su internet o a chattare o vivere una vita passiva ma, opportunamente stimolati, possono coniugare l’entusiasmo tipico dell’età con l’impegno».

E molti erano, in effetti, i giovani del Leo Club che hanno contribuito alla riuscita della manifestazione o, comunque, assistito “rubando” un po di tempo ai loro giochini sparatutto sul computer di casa.

Le condizioni dei detenuti

Rossana Campaniolo, responsabile del gruppo di Trapani di Amnesty, nel proprio intervento introduttivo, ha ricordato come quella delle condizioni dei detenuti sia una delle tematiche principali della sua associazione ed ha ricordato come, in proposito, lo Stato italiano ha subito una storica condanna in sede europea per il caso di Nino Torregiani, il detenuto che lamentava un trattamento “inumano e degradante” consistente, sopratutto, nell’essere rinchiuso in una cella che gli riconosceva pochi centimetri quadri di spazio vitale.

Giuseppe Romano, comandante delle guardie al carcere di San Giuliano, ha precisato che «oggi, dopo la sentenza Torregiani, ad ogni detenuto sono riconosciuti almeno 3 metri quadri netti di spazio in cella e, inoltre, almeno otto ore (dalle 8 alle 16) di poter muoversi fuori dalla cella, fra il reparto o nel cortile». Romano ha provato a sfatare il “mito” dell’agente che è un carceriere, un aguzzino, uno dedito ai pestaggi dei detenuti, ma una persona che fa un lavoro con professionalità ed umanità.

Sempre su stimolo del pubblico, sono usciti dei discorsi interessanti.

Le proposte scaturite dal dibattito al Leo Club

Romano ha messo all’indice la classe politica che «abbandona le carceri, non dedicando gli opportuni investimenti» e, ha pure riconosciuto, che, spesso, i detenuti, prima di violare la legge, «non hanno avuto delle possibilità», non hanno potuto fruire di adeguati investimenti preventivi in campo sportivo, culturale e scolastico.

L’importanza di investire in opportune figure professionali coadiuvanti al recupero e nell’istruzione dei detenuti o nella proposta di corsi di formazione professionale o di attività lavorativa anche dentro il carcere è stata sottolineata tanto da Romano, quanto dall’autrice Antonella Speciale, quanto dal giovane Gianni Biondo intervenuto nel dibattito. Biondo, in particolare, ha ricordato come «il soggetto dentro sarà poi un soggetto fuori dove, se non si è investito nel recupero, diventerà un problema per la società innescando un sorta di circuito vizioso».

Il problema del «tempo in carcere non impiegato per rendere il detenuto una persona migliore» è stato sollevato sempre dall’autrice Antonella Speciale che ha concluso invitando la stessa Amnesty ha sollevare il problema dell’abolizione della pena dell’ergastolo, assolutamente in contrasto col nostro art. 27 della Costituzione o, quantomeno, della condizione di “ergastolano ostativo” in cui si trovano 1.200 detenuti circa in Italia e che non da diritto a queste persone di sperare, nella loro vita carceraria, di fruire mai di alcun beneficio e che quindi li tiene in una condizione di «morti che camminano».

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