ARTE E VITA, UNICO INDIVISIBILE

Non è facile dare una definizione ad un uomo dopo averlo incontrato una volta, specie se quell’uomo è un artista. E’ troppo facile cadere nell’errore, fraintenderlo o sminuirlo. Specie se, poi, non si vuole parlare solo dell’artista ma anche dell’uomo. L’idea di Mario Cassisa (n. 1929 Palermo) che ci siamo fatti noi è quella di un artista, ma soprattutto di un uomo, figlio di diverse madri.

Figlio dell’omologazione del fascismo, della miseria del secondo dopoguerra, ma figlio anche della volontà di riscatto; figlio pure della Sicilia, per la sicilianità che trasuda dalle sue parole, e non solo dal suo accento; ma anche figlio dell’America, degli States, dove ha vissuto oltre vent’anni, e della cultura individualista ed egocentrica di questa nazione; infine figlio dell’iconografia pre-colombiana (maya, atzeca), punto di riferimento di ogni sua opera.

Il padre, quello dell’artista, invece, di certo può essere identificato in Mark Tobey (n.1890 Centerville – Wisconsin; m.1976 Basilea). Di Tobey, conosciuto nel suo soggiorno a Seattle, seguirà la strada sia nei viaggi e nell’amore per la terra messicana, sia nella tecnica “all over painting”, ovvero del ricoprire l’intera tela, andando oltre la cornice e verso l’infinito …

Il vero padre, quello biologico, un rappresentante di farmaci, l’avrebbe voluto, impiegato al comune, in banca o dedito all’insegnamento. Ma per lui tali obiettivi non erano motivanti, e, per questo, per realizzarsi, lascia Palermo a vent’anni.

Il suo carattere volitivo e tenace l’ha spinto a girovagare nel mondo, alla ricerca dello spunto per l’opera perfetta, quella della sintesi ultima, che ha trovato in Giappone, negli USA (Seattle, S.Francisco, Miami), in Messico ed a Londra, a Parigi.

Le sue opere sono certamente uniche, originali, surreali, ”piene”. Il bello delle sue opere non sta tanto nelle forme esteriori quanto nel messaggio intimo che esse esprimono e bisogna sapere cogliere.

Le sue opere sono sempre meno quadri e meno sculture, e sempre più espressioni di entrambe le arti.

Per lui il punto cardine dell’esistenza è il successo, la notorietà, il partecipare a grandi mostre, ma non per mera soddisfazione finanziaria ma per sopravvivere, per avere un posto dentro il labirinto della memoria dell’uomo.

Per questa ricerca di vita “eterna” ha dovuto rinunciare alla vita “normale”, quella da condividere con una donna, con una famiglia, forse anche perché non ha trovato la donna che lo comprendesse, lo supportasse, che non fosse solo di “peso” al suo vagabondare, al suo cercare, al suo studiare.

L’uomo -artista paragona la vita ad un immenso mosaico nel quale vuole inserire la propria "tessera" dando il suo contributo all’arte e alla conoscenza dell’umanità.

L’impresa non è facile, ma lui ci prova, perché un grande uomo è quello che cerca di entrare nella memoria collettiva attraverso la realizzazione di grandi opere, così egli dice.

I suoi desideri ultimi, ora che le forze lo sorreggono sempre meno, consistono nell’aver riconosciuta la sua opera dentro un museo, nella trasformazione della via Poeta Calvino in via dell’espressione artistica del XXI secolo.

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