CIAO MAURO: RICORDANDO ROSTAGNO

Mauro Rostagno

Diciannove anni dall’omicidio di Mauro Rostagno. Uno dei tanti, troppi misteri della storia repubblicana, un delitto imperfetto nella sua ricostruzione e nella ricerca della verità, sempre troppo lacunosa e parziale. Un continuo susseguirsi di depistaggi, di ambiguità e di tentativi di seppellire tutto sotto la coltre delle archiviazioni giudiziarie.

Mauro Rostagno era un personaggio scomodo, un giornalista che aveva conquistato la fiducia e l’ascolto dei trapanesi, un popolo da troppo tempo piegato dalla paura e dall’omertà. Difficilmente etichettabile, Rostagno lottava contro la mafia ma senza essere “al servizio dello stato“. Grazie a un linguaggio semplice e libero, denunciava il malaffare, la cattiva amministrazione della città e, più in generale, l’esistenza di un sistema di potere tanto marcio quanto consolidato. Sfidava la mafia e i padroni della città col coraggio dell’inchiesta e con il piglio dissacrante dell’ironia, come quando si punta il dito contro il re nudo.

L’indignazione morale che aveva scosso Trapani all’indomani della morte di Rostagno, si è via via affievolita con il passare degli anni, e questa città è tornata a chiudersi a riccio, refrattaria a qualunque istanza di progresso civile e sociale.

Oggi, a Trapani e in questa provincia, così come in tutta la Sicilia, la mafia continua a tenere ben salde le redini dell’economia, della vita pubblica e amministrativa, attraverso la spartizione di cariche e appalti, attraverso le intimidazioni, il racket, la speculazione edilizia, il capillare controllo sociale.

La disoccupazione e il lavoro nero continuano ad affliggere questo nostro territorio, così come gli incidenti sul lavoro e le morti bianche, sempre più frequenti. Questi sono gli effetti delle ingiustizie quotidiane che subiscono i lavoratori, mentre i padroni e gli imprenditori di questa città dimostrano continuamente di saper sfruttare e licenziare le persone senza tanti complimenti.

E mentre Trapani arranca nel suo degrado culturale e politico, il dibattito pubblico sulle sorti della città continua a essere dominato da argomenti strumentali e pretestuosi, come l’infinita questione dell’autorità portuale che rischia di essere soppressa. Evidentemente, la legalità e il rispetto delle norme sono valori che vanno bene solo quando fanno comodo: così, quando per i lavori al porto in occasione delle regate della Louis Vuitton Cup furono realizzate opere scriteriate, devastanti e al di fuori di ogni normativa, il sequestro dei cantieri da parte dell’autorità giudiziaria fu accolto dalla classe dirigente cittadina come un intollerabile attacco da parte di una magistratura ostile.

E oggi, la stessa classe dirigente tenta di difendere l’indifendibile, ovvero il mantenimento di un baraccone improduttivo come l’autorità portuale istituita a suo tempo sulla base di dati imprecisi e probabilmente gonfiati, e sulla cui vicenda c’è addirittura un processo penale in corso.

Eppure, il senso di impunità di chi detiene il potere va oltre ragionevolezza e, tra una regata e l’altra, viene coltivata l’illusione che il riscatto di questa terra passi attraverso l’immagine patinata di una città-cartolina dove i poveri sono sempre più poveri e i ricchi sono sempre più ricchi.

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