Oggi, come qualche anno fa torna di moda il Porto. In mezzo due anni di silenzio. Le motivazioni erano sicuramente diverse, allora, lontano da campagne lettorali, si mirava maggiormante a sfruttare le leggi straordinarie varate per quello che per contratto dovevamo chiamare "grande evento".
Tutti i politici, di destra e di sinistra, erano perfettametne consci che passato il periodo in questione tutto si sarebbe bloccato nuovamente. Il perchè è semplice: fino ad allora tutti i progetti per la modifica e l'ampliamento del porto erano stati bloccati dalla Regione, oggi invece si presentava l'ccasione per aggirare l'ostacolo e fare quello che in trent'anni non si era riuscito a fare.
In parole povere, invece che presentare un progetto per il Porto rispettoso delle leggi (a quanto pare si era incapaci di farlo…) era meglio sfruttare l'occasione e fare tutto prima che scadesse "lo stato d'emergenza" varato dal governo.
Non ci sono riusciti: i lavori a rilento e la magistratura (che ha il brutto vizio di far rispettare le leggi) hanno bloccato un po tutto e allora la classe dirigente trapanese ha deciso di buttare fango, è proprio il caso di dirlo, sulle associazioni ambientaliste ritenute filo-palermitane.
Siamo d'accordo che per una città come Trapani il porto è una struttura fondamentale, ma deve essere pensato tenendo conto di tante cose e cercando di far convegere tutte le anime e i desideri che attorno ad esso si agitano.
Il porto è una questione economica: un suo funzionamento corretto deve prevedere dei prezzi concorrenziali che possano essere più convenienti rispetto alla piazza Palermitana e questo obiettivo non può essere raggiunto senza una concorrenza vera, senza che certi monopoli al suo interno non siano superati.
Il porto è una questione sociale: un porto capace di "fare numeri" rappresenta l'opportunità lavorativa per un buon numero di Trapanesi, un sollievo dalla piaga della disoccupazione con la quale conviviamo orami da troppo tempo. Ma i numeri si fanno attirando imprenditori e questi non arrivano se non si adempie efficientemente alla questione economica e a nulla vale contraffarli perchè nessun beneficio, alla lunga, se può trarre. Il caso Agate e il processo in corso sono un ottimo insegnAmento in tal senso.
Il porto è anche una questione ambientale: essere per il porto non vuol dire essere contro la riserva delle saline o a favore del decadimento economico della città, vuol dire semplicemente cercare di far convivere una realtà economica che fa leva sullo sviluppo legato all'economia dei trasporti e su uno sviluppo che potrebbe anche venire dal potenziamento delle risorse turistiche di questa zona umida tra le più importanti d'Europa.
Pur essendo ambientalisti siamo sempre stati a favore del dragaggio del porto, anche oltre i 15 metri, e anche i "palermitani" di Legambiente lo erano. Si chiedeva solo che lo smaltimento dei fanghi si facesse rispettando le norme di legge e, ad oggi, non riusciamo ancora a capire cosa ci sia di scandaloso in tale richiesta.
Noi rimaniamo fermamente convinti che i lavoratori del Porto abbiano le loro ragioni per protestare ma siamo altrettanto convinti che la loro protesta sia stata strumentalizzata fortemente nel passato e lo sia ancora una volta oggi, in prossimità delle elezioni. In mezzo due anni di silenzio con i fanghi all'orizzonte a testimoniare che la legalità in questa città, a volte, è un optional.
Un dialogo tra le parti, cercando di mediare e trovare una soluzione comune facendo tutti un passo indietro sarebbe auspicabile. E sarebbe clamoroso.