IL BUSINESS DEL BEBE’, UNA TORTA DA 92 MILIONI DI EURO

assessore Massimo RussoPALERMO – Ricordate uno dei motivi addotti da chi promuoveva la “fusione” fra Erice – sede dell’Ospedale San Antonio Abate – e Trapani? “A Trapani non nasce piu’ nessuno”, si diceva.

Bene, dal 1 ottobre prossimo, in provincia di Trapani, si potrà nascere solo in tre dei ventiquattro Comuni. Erice, per l’appunto, ma anche Marsala e Castelvetrano.

Lo ha stabilito – a riprova che, in proposito, le polemiche “contradarole” hanno poco senso – una recente norma (D.A. 2 dicembre 2011, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Regione Sicilia del 5 gennaio 2012) emanata dall’assessore regionale alla sanità Massimo Russo. Nonostante le proteste che si sono levate, dalle isole alle comunità montane, o dai centri piu’ piccoli, l’assessore è stato fermo nel suo proposito: «Questa volta il risparmio non c’entra – precisa in un’intervista rilasciata al numero di febbraio del mensile “S”, dove racconta il taglio di 28 “punti nascita” in Sicilia -. L’operazione potrebbe fare aumentare i costi a carico della Regione, ma abbiamo preferito puntare sulla sicurezza». «Lo stabilisce l’Organizzazione Mondiale per la Sanità – aggiunge l’assessore Russo -. Una struttura che effettua piu’ di 500 parti ogni anno è piu’ sicura di una che ne fa meno: non possiamo sottovalutare la manualità che si acquisisce». Il limite minimo per poter avere un “punto nascita”, sottolinea ancora l’assessore, è destinato a salire a 1.000 parti, citando l’esempio del Portogallo «dove il numero minimo di parti è duemila».

«Sulla base di un calcolo statistico, moderna sfera di cristalloscrive il giornalista Antonio Condorelli nel proprio articolo titolato “Affari procreativi” l’assessorato ha previsto quanti saranno i parti provincia per provincia, distribuendoli ospedale per ospedale». Per quanto riguarda la provincia di Trapani, ad esempio, sono stati stimati, annualmente, 3.705 parti, distribuiti per 1.848 al Sant’Antonio Abate di Erice, 903 al San Biagio di Marsala e 602 al Vittorio Emanuele II di Castelvetrano.

mensile S, Affari ProcreativiA chi si lamenta che le partorienti dovranno spostarsi dal centro di residenza per la nascita del proprio figlio, Russo risponde: «Abbiamo calcolato che in 30 minuti, un’ora al massimo, è possibile raggiungere, da ogni località, i “punti nascita”». Resta l’opzione, remota al giorno d’oggi, di partorire, a proprie spese, “a casa”.

«Ma far partorire è un affare», spiega sempre il mensile. La Regione rimborsa «la prestazione con un gettone mica male: il “costo aggregato”, cioè il contributo che l’assessorato versa alla Clinica, ammonta infatti a 1.900 euro a parto. Il totale del business, considerato i 48.769 parti stimati (in tutta la Regione, NdR) dall’assessorato ogni anno, supera i 92 milioni di euro ogni 12 mesi».

La riforma di Massimo Russo, oltre che puntare alla sicurezza, si pone l’obiettivo di ridurre il numero dei “parti cesarei”. Fino ad oggi, infatti, esisteva una notevole discriminazione nei rimborsi, dalla Regione alle cliniche, fra i parti tradizionali (vaginali) e quelli chirurgici (cesarei), con i secondi ben piu’ remunerativi, per la clinica, che i primi, ovvero si passava dai 1.489 euro di rimborso per un parto vaginale ai 2.359 euro di un cesareo senza complicazioni. Per porre un freno alle “eventuali” speculazioni, di cliniche private e medici senza scrupoli il rimborso, è stato uniformato nel dato medio di 1.900 euro. E’ prevista, altresì, dall’art. 7 del Decreto, una multa per le strutture che eccedono la percentuale del 20% – per il 2011 – di “parti cesarei”.

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