PARLA IL BLOGGER OSCURATO

Carlo RUTA

Carlo RUTA

RAGUSA – Dopo la recente ed incredibile condanna per “stampa clandestina”, Carlo Ruta, il blogger dell’ormai “famoso” Accadeinsicilia (oscurato dalla magistratura nel 2004), torna alla ribalta con un’intervista concessa a www.cuntrastamu.org. I toni sono forti e spaziano dalla sua personale vicenda alle generali menomazioni per la democrazia che discendono dall’uso criminoso e temerario della querela per diffamazione. Ecco i principali passaggi.

Ho creato “Accadeinsicilia”, nel 2001. Sin dall’inizio la mia idea è stata di congiungere le due prospettive: quella storiografica e quella dell’informazione. Ho deciso di portare l’investigazione sul terreno dei poteri forti. Mi sono occupato di alcune potenti banche, dall’Antonveneta del nord-est alla BAPR, dei nessi fra Danilo Coppola e i salotti della finanza nazionale, di tangenti miliardarie nell’est della Sicilia.

I poteri forti dell’isola, quando si sono sentiti posti in discussione, hanno messo in opera una strategia di attacco che fino ad oggi non ha conosciuto soste. E in tale cornice nel dicembre 2004 è arrivato l’oscuramento di “accadeinsicilia”. Si è trattato di un atto gravissimo, fortemente lesivo di un diritto costituzionale. Ho provveduto quindi, dopo una breve interruzione, a ripristinare Il lavoro di documentazione e d’inchiesta on-line attraverso l’apertura di un altro blog, “Leinchieste” appunto, presso un server degli Stati Uniti.

Quando mi sono occupato delle mafie militari, delle bande che imperversavano nel Gelese, nell’Ippari, nel Siracusano e in altre aree, ho ricevuto circa quindici querele, soprattutto da parte di amministratori pubblici, a vario titolo chiamati in causa. E da tutti i processi che ne sono scaturiti sono uscito vincente.

Ma negli anni successivi, quando si sono mossi i potentati finanziari e alcuni ambiti istituzionali, le cose sono cambiate: a partire appunto dall’oscuramento di “Accadeinsicilia”. Sono stato investito, perlopiù su sollecitazione di un magistrato, da otto procedimenti giudiziari per diffamazione, fino a oggi in corso.

Nel 2006 sono stato condannato da un giudice non togato a otto mesi di carcere solo per aver accolto nel blog la testimonianza di un cittadino su un affare di tangenti. Nel luglio 2008 sono stato condannato in appello, ancora per diffamazione, a un risarcimento inaudito, solo per aver espresso delle critiche, che il giudice di primo grado aveva riconosciuto come legittime, nei riguardi di tre magistrati catanesi, due dei quali fatti oggetto peraltro di diverse interrogazioni parlamentari.

Rappresentativa della situazione è la condanna, che mi è stata inflitta nel maggio scorso per stampa clandestina, solo per aver curato Accadeinsicilia, un normalissimo blog appunto, che tuttavia è stato reputato dal giudice Patricia Di Marco né più né meno che un giornale quotidiano.

ReportLa querela per diffamazione, rappresenta oggi un esteso business. Per tradizione costituisce in ogni caso una importante arma che i potentati del paese, centrali e territoriali, possono usare, senza rischi e con guadagno facile, per impedire l’esercizio dell’informazione libera. La censura legale serve in effetti a intimidire il giornalista, detta norme di condotta all’intera categoria, lancia suggerimenti di cautela alle comunità di riferimento, all’opinione pubblica. Mi pare emblematico al riguardo il caso di Paolo Barnard: portato in tribunale da una multinazionale farmaceutica con pretese di risarcimento inaudite, isolato per tale motivo dal team di Report per cui lavorava, privato infine di ogni difesa legale da parte della RAI.

Dovrebbero essere fissati dei limiti al risarcimento civile, per liberare il giornalista dalla minaccia di una condanna a vita, tale da condizionarne per intero l’iter professionale. Dovrebbe scomparire lo spauracchio delle pene carcerarie perché anacronistiche, incivili, a misura dei regimi autoritari. Dovrebbe essere impedito per legge il “primo colpo” della querela, attraverso la riformulazione dell’istituto della rettifica.

Antonio FazioI poteri forti di oggi, quelli che tirano in particolare le fila della finanza, non fanno la democrazia. Costituiscono bensì un punto di collasso della medesima. Compito essenziale del giornalista d’inchiesta, guardiano appunto delle libertà civili, è allora quello di alzare i sipari delle trame, di togliere la maschera ai poteri che vilipendono lo Stato di diritto, al centro come in periferia, ovunque. E’ utile sottolineare che i potentati finanziari sono forti proprio perché stanno al buio. Quando vengono illuminati diventano vulnerabili e talora, sotto il peso delle loro responsabilità rese pubbliche, si afflosciano. E’ stato il caso del governatore di Bankitalia Antonio Fazio, referente dei concertisti di Antonveneta. Rivelano una logica mirata le nuove normative sulle intercettazioni telefoniche. E con tutto questo va coordinandosi l’attacco, destinato probabilmente a fare testo oltre i confini italiani, alla libertà sul web.

Come reagisco a tali atti repressivi? Continuando a studiare il passato e il presente, a documentare, a informare. Sento di dover intensificare il mio impegno sulla linea della libertà di espressione, perché la situazione nel paese, davvero preoccupante, ci sollecita tutti, operatori della comunicazione e cittadini, a una mobilitazione responsabile.

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